Curo
le rose, tolgo le erbacce, compro fiori: semino, pianto, innaffio! E
ogni germoglio è una rivelazione, una consapevolezza svelata.
Ritrovata.
Osservo,
imparo, immagazzino. Poto le piante ed esprimo la promessa.
Mi
meraviglio per la velocità del riccio, per il picchio verde tra
l'erba, per le ranocchie. Mi meraviglio per l'intrusione selvaggia
delle api, per il miele e per le storie degli apicoltori. Mi
meraviglio della crescita repentina dell'erba. E ancora, mi faccio
pungere dalle zanzare, giro con i piedi neri per casa e sogno.
Sogno
una serra gigantesca dove poter coltivare le erbe, le piante e i
fiori più rari. Cerco soluzioni, acquisto libri sulle viti,
sugli innesti, sugli orti e sulle piante medicinali. Ascolto.
Io
davvero sto con le mani dentro la terra e davvero ci provo sebbene
non l'abbia mai fatto. E vango, zappo, faccio del mio meglio e
intanto sogno la serra e le sue promesse.
Mi piacciono quei paesi arroccati sui monti. Odorano di funghi. Nel loro abbandono si rifugia l'inganno dell'uomo. Dimenticati, ignorati, sepolti sotto anni di progresso. Nella loro incuria celebriamo la nostra cultura, (ri)scoperta, economia. Un'orgia di sapere che si sposa malamente con noi. Fingiamo che non sia così. Altri tempi. E sugli altri tempi ci sarebbero tante cose da dire. Del resto, Wilde diceva che chi ama la campagna vive in città.
Amo crogiolarmi negli antichi saperi, di cui francamente so poco.
Mi
piace leggere, guardare documentari, ma non quelli noiosissimi dove
c'è un tizio che tedia con le solite immagini e cronache turistiche.
Il viaggio, qualsiasi viaggio, è fatto di percorsi: chiesette,
castelli, dirupi, fiori, cieli stellati, disavventure, odori, sapori,
cibo, bevande, suoni, camminate, sudore. Ogni posto dona qualcosa.
Mi
piace scrivere. Non dico di saperlo fare bene, tuttavia mi circondo
di vocaboli. Mi piacciono le parole, le virgole, che a dir la verità
nelle mie frasi abbondano. Come le parentesi. I punti di sospensione.
Le pause.